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Hollywood ad Haiti: per salvare i bambini, Star del cinema nell'isola caraibica per far conoscere l'opera di una Onlus italiana che aiu

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view post Posted on 16/12/2008, 13:16
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TABARRE (HAITI) – «Volevano vendermi un bambino» dice Madeleine Stowe. Diane Lane si volta: «Come?». Il camioncino sta uscendo da Citè Soleil. Spazzatura, muri diroccati, piccoli fuochi e banchetti sul ciglio della strada, vecchi camion, maiali, fogna a cielo aperto, un gippone di Caschi Blu, una pozza nera dove qualcuno si lava. «Prima – dice Madeleine, capelli neri raccolti, lo sguardo sempre stupito da attrice (America Oggi, L’ultimo dei mohicani, Occhi nelle tenebre) – Quando Josh giocava con i ragazzini in equilibrio a testa in giù. Una donna me l’ha messo in braccio mentre un’altra mi mostrava le monete».

Benvenute a Haiti, Madeleine e Diane. Roba da film. Il regista c’è. Paul Haggis (“Crash” e “Nella Valle di Elah”): lo sceneggiatore di “Million Dollar Baby” sobbalza sul cassone con una videocamera in mano. Josh Brolin (“Non è un Paese per vecchi”) si sporge dal predellino, una croce rossa sulla portiera, un tettuccio e una struttura in ferro a cui aggrapparsi. «Sapete a cosa serve la corda tesa qui dietro? – dice Paul - A creare un altro piano». «Per fare che?», dice Michael Stahl David (“Cloverfield”). «Per le bare. Così Padre Rick può trasportare più bare». Silenzio. «Ma le bare non sono pesanti?» dice Maria Bello (“Una storia di Violenza” di Cronenberg, World Trade Center di Stone). «No – le risponde il suo amato Brynn Mooser, sassofonista – Mi hanno detto che se fossero di legno qualcuno le ruberebbe per venderle come combustibile. I ragazzi di padre Rick le fanno di cartone: i cadaveri qui sono molto leggeri». La speciale leggerezza degli haitiani: 8 milioni, metà denutriti. Il 70% è disoccupato, l’80% vive con meno di due dollari al giorno, l’1% possiede metà delle ricchezze. Questo non è un Paese per vecchi (età media 60 anni) ma neanche per bambini: mortalità infantile alta (poco più di uno su 3 non arriva ai 5 anni). Forse l’unico posto al mondo dove si mangia terra. “Achtè tè”, in creolo. Comprare tè, che vuol dire terre. Focaccine d’argilla. Terracotta che calma la fame. Fa male, dicono i medici. Ma chi li vede i medici a Haiti? La regola è: chi non ha soldi (quasi tutti) non ha cure. Antibiotici anziché tè.

Fra le poche eccezioni alla regola c’è l’ospedale dove in questa tiepida sera caraibica sta rientrando il camioncino di padre Rick con il suo carico di star. L’unico ospedale pediatrico del Paese (350 posti), costruito grazie alla Fondazione Francesca Rava che rappresenta l’organizzazione umanitaria N.P.H. (Nuestros Pequenos Hermanos). Sorge a Tabarre, una delle aree della capitale Port-Au-Prince, a metà strada tra le bidonville a livello del mare e le zone più vivibili verso la montagna. Che ci fa qui una sex-symbol del calibro di Diane Lane? Mentre esce in Italia “Come un uragano”, il suo ultimo film con Richard Gere, Diane ha preso un volo con il marito Josh Brolin. Destinazione Tabarre. Foresteria oltre l’ospedale. Al piano terra bimbi convalescenti. Sopra gli ospiti. E’ stato Paul Haggis a portarli: «Un anno fa una giornalista a un festival mi ha parlato di questo posto, di padre Rick e dell’impegno dei volontari italiani. Cosa c’entrano gli italiani a Haiti? Sono venuto a vedere. Mi sono innamorato della gente, ho fatto una testa così ai mei amici. Così eccoci qui». Quattro giorni a Haiti.

Ecco Josh sul muretto che parla con padre Richard Frechette detto Rick, medico e sacerdote, motore delle iniziative NPH (scuole di strada, ambulatori, distribuzione di acqua e cibo, sepoltura di cadaveri abbandonati, ultimo progetto una “città dei mestieri” chiamata Francisville per dare lavoro ai ragazzi): «Dove sono finiti i 5 miliardi di dollari di aiuti arrivati dopo la dittatura Duvalier?». «I soldi ci sono, ma non sanno come spenderli. Cioè come dividerseli» dice Josh. Eh, appunto. L’Unione Europea denuncia che il problema maggiore è la corruzione ai piani alti. Una soluzione è aggirarla con progetti mirati. Dalla terrazza dell’ospedale si vede il profilo basso del centro dei Piccoli Angeli pronto per essere inaugurato. Una casa-scuola per bambini disabili costruita con fondi italiani. Ecco il perché dei “re magi” da Hollywood. Dall’Italia un gruppo di volontari e Martina Colombari, “madrina” della Fondazione Rava. La sua seconda volta. Lei e Maria Bello una mattina hanno lavato e composto due piccoli corpi nel quotidiano rito funebre che si svolge all’ospedale. «Quando torni a casa è difficile parlarne - dice Martina - far capire cosa vuol dire vedere un bambino che muore, quanto basti poco per salvarne molti». Paul Haggis vuol girare un film su questa esperienza e aprire una fondazione. A Haiti mangiano terra, a Haiti c’è una speranza. La speranza oggi ha gli occhi chiari di Gena Heraty, un’irlandese da 15 anni in questa valle di Elah. Responsabile progetto disabili. Ti racconta di Emily, 4 anni, danni cerebrali per una meningite. Sua madre, la signora Fleuridor, è un delle eroine segrete di questa storia. Ogni giorno la porta al centro per la fisioterapia. Lunghi tratti a piedi. I miglioramenti sono impercettibili, ma lei continua a venire. Le famiglie con bimbi disabili sono spesso emarginate. Molti vengono abbandonati. Emily non ha un padre, un giorno le formiche stavano per mangiarsela, sulla stuoia, mentre la mamma era fuori a vendere il kerosene che (con un programma di microcredito) le permette di vivere. Come dice Diane Lane: «Queste sono grandi donne».

Fonte: Corriere.it
 
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